Quel che è sicuro è che una tazzina di caffè ha il potere (certe mattine, soprannaturale) di tirarci giù dal letto. Ora un nuovo studio statunitense pubblicato su Nature Neuroscience le attribuisce un altro effetto benefico: un moderato consumo di caffeina potrebbe potenziare la memoria a lungo termine, aiutandoci in particolare nei compiti di discernimento visivo.
Michael Yassa, un neuroscienziato della Johns Hopkins University di Baltimora, ha mostrato a 44 soggetti (nessuno dei quali un consumatore accanito di caffè, e tutti in ogni caso a "digiuno" di espressi almeno da 24 ore) una sequenza di immagini sullo schermo di un computer: una paperella di gomma, un'auto, un martello, una sedia, una mela e altri oggetti d'uso comune.
Alla comparsa di ogni figura i volontari dovevano dire se si trattasse di un oggetto da usare all'aperto o al chiuso, ma a nessuno è stato chiesto di memorizzare le immagini. Al termine del test, ad alcuni è stata somministrata una compressa contenente 200 milligrammi di caffeina (un espresso ne contiene circa 150), ad altri un placebo.
Il giorno seguente, i soggetti sono stati messi di nuovo di fronte a una sequenza di immagini: alcune erano identiche a quelle mostrate il giorno prima, altre completamente nuove, altre ancora solo lievemente diverse (nel design del martello, per esempio; o nell'angolazione in cui venivano mostrate).
Ai volontari è stato chiesto di dire se ciascuna figura fosse vecchia, nuova o simile a quelle viste il giorno precedente; mentre nei primi due casi entrambi i gruppi hanno totalizzato analoghe performance, chi aveva assunto caffeina ha riconosciuto il 10% in più degli oggetti simili.
Se l'effetto fosse confermato, quello sulla memora a lungo termine sarebbe l'ennesimo beneficio attribuito a un moderato consumo di caffè (già associato, in passato, a proprietà antitumorali, una migliore capacità di tolleranza, una certa longevità e una più alta resistenza contro malattie come l'Alzheimer). Ma si tratta di risultati da leggere con una certa cautela: alcuni neuroscienziati ne contestano la validità statistica; altri invocano un campione di soggetti più ampio di quello utilizzato.